Diritto all’abitare, una proposta
Dopo cinque anni di colpevole inadempienza, finalmente la Regione Lazio ha deciso di convocare i tavoli di discussione (non più di questo) così come previsto dalla Strategia nazionale. Cittadinanza e minoranze ha partecipato a tutti (scuola, salute, lavoro e abitare). Per consentire una discussione più mirata e efficace, ha anche prosotto alcuni brevi testi. Quello che vi proponiamo è relativo al tavolo sul diritto all’abitare.
Proposte per il tavolo della Strategia sul diritto all’abitare
La Fondazione Michelucci parla di “principio trasformativo” per ripensare i problemi insediativi di rom, sinti e caminanti: tale principio comporta il superamento del concetto di campo, e indica un criterio fondamentale per progettare le alternative: “la predisposizione di una serie attrezzata e flessibile di soluzioni diversificate di insediamento che non rappresentino un prodotto finito per assistere e controllare ma un ‘non finito’ che si svilupperà in ragione delle esigenze e delle opportunità”.
Dunque, la costruzione di risposte accettabili deve lavorare – più che sulla definizione delle tipologie dell’offerta – sulla realizzazione delle condizioni da cui dipende l’efficacia delle soluzioni. Anzi, è necessario evitare di precisare eccessivamente i modelli insediativi – le dimensioni, la forma, l’organizzazione dell’insediamento: si rischierebbe di limitare le possibilità di soluzione, di irrigidire le risposte, poiché la possibilità di una soluzione non può che fondarsi sulle capacità realizzative delle popolazioni interessate e della società locale.
Dunque, le proposte che avanziamo sono solo a titolo indicativo e non rappresentano la totalità delle soluzioni che possono essere messe in campo se c’è collaborazione tra popolazioni rom e popolazioni locali, A patto che da parte delle istituzioni si agisca con maggiore elasticità e lungimiranza, tanto da consentire l’applicazione di norme e leggi già esistenti a misura di esigenze che possono non rientrare nei modelli preconfezionati.
Ad esempio, in Francia, per quanto riguarda gli aiuti finanziari, il tentativo è applicare le norme e i finanziamenti previsti per le politiche abitative a tipologie quasi “personalizzate”, per esempio applicare gli aiuti per l’accesso alla proprietà della casa anche all’accesso alla roulotte, considerata come una forma particolare di abitazione.
Tuttavia, in Europa le forme di sperimentazione di social group housing si stanno diffondendo mentre nel nostro paese sembra che le sole vie percorribili siano quelle dei campi più o meno concentrazionisti.
Pur non respingendo in modo assoluto la soluzione di aree di transito né la possibilità di piccole aree stabili a base familiare, riteniamo che anche sui progetti upgrading di insediamenti informali sia possibile progredire a patto che ci sia la collaborazione e la coideazione dei diretti interessati.
Poiché, come per chiunque, vale il principio che, a condizione di agire nella legalità, ciascuno può scegliere come e dove abitare, non si vede la ragione per la quale da questo principio debbano essere esclusi pezzi di società che, nella stragrande maggioranza, sono divenuti da molti anni stanziali e nativi italiani.
Ecco, dunque, che, tra le proposte che avanziamo, oltre a quella dell’housing sociale in tutte le sue accezioni, ci interessa verificare la possibilità (come è accaduto in alcuni paesi dell’italia del sud in relazione ai migranti, cito Riace tra le altre) di accordi con sindaci ed enti locali per la ristrutturazione e il riuso di rustici nelle campagne o interi borghi nei centri storici di paesi semi abbandonati. Una soluzione che sappiamo potrebbe incontrare anche resistenze da parte delle popolazioni locali ma che, se ben guidata da una regia saggia e lungimirante, potrebbe portare anche lavoro sia ai diretti interessati sia – per l’indotto che le ristrutturazioni comporterebbero – all’economia locale. Siamo in grado di fornire proposte e progetti al riguardo, facendoci affiancare da urbanisti e architetti che queste esperienze stanno da tempo studiando.
Infine, ed è una proposta che ci sentiamo di sostenere e di approfondire con chiunque sia interessato, in Italia, a partire da Roma, in passato alcuni presidenti di Municipi hanno dato vita in forma legale (vincendo i ricorsi che sono stati avanzati) alle requisizioni di case sfitte motivate dall’emergenza abitativa. Nel caso dei rom, è evidente il carattere di emergenza della situazione attuale falcidiata dagli sgomberi (tanto più in attuazione delle disposizioni della Strategia sulla chiusura dei campi) ed è facilmente quantificabile l’entità degli alloggi attualmente inabitati costruendo una mappa cittadina in grado di non far gravare su uno o pochi municipi le requisizioni ma distribuendo equamente requisizioni e assegnazioni.
Senza però uno scatto della volontà politica, dell’immaginazione e soprattutto senza la consapevolezza che nei confronti dei rom, troppo a lungo emarginati e ignorati, è arrivato il momento di mettere in atto azioni positive che apparentemente possono sembrare squilibrate a loro favore, senza in diretto coinvolgimento nelle opzioni e nelle scelte delle stesse popolazioni, ogni proposta sarebbe a nostro parere destinata al fallimento.