Violenza metropolitana
Diceva Umberto Eco che non fa notizia che un cane morda un uomo ma fa notizia se un uomo morde un cane. Ora vi raccontiamo una vicenda in cui l’uomo che morde è anche un cane. Anzi, in questa vicenda molti uomini (intesi come appartenenti al cosiddetto genere umano) hanno morso come cani rabbiosi. Con tutto il rispetto per i cani, naturalmente e con la cautela che si deve nel non generalizzare la natura ferina dei cani. Come in ogni regno, animale, vegetale o minerale, ci può essere il buono e il cattivo senza per questo demonizzare l’intera appartenenza originaria.
Così, capita che a Roma, un paio di giorni fa, una donna rom sia stata picchiata davanti alla figlia di tre anni alla fermata della metropolitana di San Giovanni dopo un tentato furto. A raccontarlo è una testimone diretta della vicenda nonché giornalista di Rai News24 che su quel treno si trovava. Ecco le sue stesse parole, così come lei ha descritto i fatti sulla sua pagina facebook:
“Questo è successo a me e non a qualcun altro – scrive Giorgia Rombolà – E’ successo su un treno della metro di Roma. Fermi a una fermata urla, trambusto, il pianto disperato di una bambina. Una giovane, credo rom,tenta di rubare il portafoglio a qualcuno.
La acciuffano e ne nasce un parapiglia, la strattonano, la bimba che tiene per mano (3/4 anni) cade sulla banchina, sbatte sul vagone. Ci sono già i vigilantes a immobilizzare la giovane (e non in modo tenero), ma a quest’uomo alto mezzo metro più di lei, robusto (la vittima del tentato furto?) non basta. Vuole punirla. La picchia violentemente, anche in testa. Cerca di strapparla ai vigilantes tirandola per i capelli. Ha la meglio. La strattona fina a sbatterla contro il muro, due, tre, quattro volte. La bimba piange, lui la scaraventa a terra. Io urlo dal vagone: “Non puoi picchiarla, non puoi picchiarla”. Ma non si ferma. Io urlo ancora più forte, sembro una pazza. Esco dal vagone, mi avvicino e cerco di fermarlo. Solo ora penso che con quella rabbia mi avrebbe potuto ammazzare, colpendomi con un pugno. “Basta, basta”, urlo. I vigilantes riescono a portare via la ragazza. Lui se ne va urlando, io risalgo sul treno. È lì vengo circondata. Un tizio che mi insulta dandomi anche della puttana dice che l’uomo ha fatto bene, che così quella stronza impara. Due donne (tra cui una straniera) dicono che così bisogna fare, che evidentemente a me non hanno mai rubato nulla. Argomento che c’erano già i vigilantes, che non sono per l’impunità, ma per il rispetto, soprattutto davanti a una bambina. Dicono che chissenefrega della bambina, tanto rubano anche loro, anzi ai piccoli menargli e ai grandi bruciarli. Un ragazzetto dice se c’ero io quante mazzate. Dicono così. Io litigo, ma sono circondata. Mi urlano anche dai vagoni vicini. E mi chiamano comunista di merda, radical chic, perché non vai a guadagnarti i soldi buonista del cazzo. Intorno a me, nessuno che difenda non dico me, ma i miei argomenti. Mi guardo intorno, alla ricerca di uno sguardo che seppur in silenzio mi mostri vicinanza. Niente. Chi non mi insulta, appare divertito dal fuori programma o ha lo sguardo a terra. Mi hanno lasciato il posto, mi siedo impietrita. C’è un tizio che continua a insultarmi. Dice che è fiero di essere volgare. E dice che forse ci rivedremo, chissà, magari scendiamo alla stessa fermata. Cammino verso casa, mi accorgo di avere paura, mi guardo le spalle. E scoppio a piangere. Perché finora questa ferocia l’avevo letta, questa Italia l’avevo raccontata. E questo, invece, è successo a me”.
Brutta storia, bruttissima. Ma non basta: lei torna a casa e racconta sulla sua pagina Facebook quel che è successo. Piovono insulti, trivialità, minacce. Tanto da costringerla a chiudere definitivamente la sua pagina.
C’è modo di fermare questa marea nella quale stiamo affondando? Difficile dirlo. Ma qualcosa si può fare. Ad esempio aprire molte pagine facebook o, per chi le ha già, usarle per raccontare i piccoli e non piccoli episodi di sopraffazione, incattivimento, razzismo, persecuzione nei confronti di quelli colpiti dal pregiudizio e dalla intolleranza non per mostrare i mostri ma per dire che esiste una rete di attenzione, rispetto della dignità e autotutela che neppure la ferocia e la barbarie dei nostri tempi riusciranno a sconfiggere.
Infine, una domanda sorge spontanea: perché i vigilantes hanno portato via la donna rom e non l’uomo che l’ha picchiata?
(a. p.)