Pericolo rom o rom in pericolo?

Marco Brazzoduro*
“I rom italiani purtroppo ce li dobbiamo tenere”. E’ una frase uscita di bocca al nostro ex vicepresidente del consiglio e certifica in modo inequivocabile l’ostilità verso questa vituperata etnia. Non è stato un atto isolato. Lo stesso signore (?) a proposito della donna rom scarcerata perché incinta non si è lasciato sfuggire l’occasione per vomitare la sua inciviltà auspicando che le fosse impedito di procreare. Né possiamo dimenticare l’orgogliosa rivendicazione della ruspa, severa risolutrice della guerra ai rom. Una vera e propria guerra che affonda le sue radici in tenaci quanto infondati pregiudizi e che di tanto in tanto si manifesta con episodi di violenza: le fucilate contro un camper di sinti, la bambola esplosiva regalata a una bambina che elemosinava, la caccia all’uomo a Ponticelli (2008), l’incendio dell’insediamento a Opera. E si potrebbe continuare tra dichiarazioni razzistiche, minacce, aggressioni e violenze.
Perché questa ondata d’odio addirittura alimentata da chi ha la responsabilità istituzionale della coesione sociale e dell’inclusione ? Perché additare come meritevole del disprezzo e dell’ostilità collettiva un’intera etnia quando il dettato costituzionale (art. 6) prescrive la tutela delle minoranze nessuna esclusa ? Non è bastata la tragedia del porrajmos ovvero dello sterminio perpetrato dal regime nazista con l’eliminazione di 500.000 rom e sinti ?
I rom, arrivati in Europa tra il 1300 e il 1400 (la prima testimonianza storica della loro presenza in Italia – Bologna – risale al 1422), sono stati trattati sempre con sospetto che spesso ha tracimato in discriminazione e persecuzione. Perché si è continuativamente manifestato nella storia dell’umanità il bisogno di un capro espiatorio cui addebitare falsamente la causa di disagi, incertezze, paure ? La innominabile tragedia degli stermini nazisti non ci ha insegnato nulla ? Oggi solo voci, per fortuna isolate – ma ricordo una consigliera comunale che aveva messo a disposizione il suo forno per la bisogna – reclamano impudentemente l’eliminazione degli “zingari”, ma il disprezzo, gli stereotipi, la discriminazione persistono e purtroppo tendono ad aumentare. Domanda (retorica ?): Ma l’umanità non si libererà mai della necessità di odiare ? Mi rifiuto di credere che l’odio sia un elemento costitutivo della natura umana e come tale ineliminabile.
Per odiare una persona o una collettività è necessario dipingerlo negativamente attribuendogli comportamenti odiosi e caratteristiche di totale alterità. Per quanto riguarda i rom una delle accuse più diffuse e condivise è quella del rapimento dei bambini. Ricordo un episodio di un paio d’anni fa quando la presenza in Grecia di una bambina biondissima presso una famiglia rom costituita di membri con pelle scura ha scatenato un putiferio internazionale che si è placato solo quando la famiglia originaria della bambina è stata rintracciata e ha dichiarato il proprio consenso alla sua presenza presso la famiglia ingiustamente accusata.
In genere i rom interrogati sull’argomento rispondono che hanno già tanti figli per conto loro e che non gli passerebbe per l’anticamera del cervello il pensiero di rapire. A contrasto di questa diffusa convinzione è stata pubblicata una ricerca dal titolo significativo (La Zingara Rapitrice) in cui si esaminano 10 anni di inchieste giudiziarie sul tema. Ne risulta che in primo luogo non è mai stato trovato un bambino/a scomparso in un insediamento di rom anche se in tutti i casi di scomparsa i campi rom sono i primi a venire setacciati e sarebbe la prova regina di quell’assunto. In secondo luogo oltre a riferire dei numerosi casi di accuse conclusesi con la dichiarazione di insussistenza del fatto, si esaminano due casi di condanna per “tentato rapimento” in cui accusa e difesa non avevano testimonianze a loro favore e il giudice ha dimostrato di credere all’accusa. Un’altra condanna per tentato rapimento è stata irrogata a Napoli dopo l’uscita del libro. Un ragazzina di 16 anni ha scontato 4 anni di reclusione. Dopo la liberazione, intervistata, ha dichiarato che lei si era recata presso quell’abitazione ma che il neonato del cui tentato rapimento era stata imputata non l’aveva mai visto. Tra l’altro dopo la condanna, e i termini prescritti, il suo avvocato aveva avanzato richiesta al giudice di sorveglianza dell’ammissione agli arresti domiciliari. La richiesta ricevette un diniego perché “data la cultura di appartenenza elevata è la probabilità di reiterazione del reato”. In questo modo il giudice dimostrava sorprendentemente di condividere il pregiudizio.
Del resto quando si vuol colpevolizzare una persona o un gruppo sociale l’argomento dei bambini funziona. Per esecrare i comunisti si propalò la notizia che se li mangiavano. Gli ebrei ne avrebbero fatto oggetto di sacrifici rituali. I primi cristiani, osteggiati dal potere, furono oggetto di una campagna di discredito che li imputava – guarda caso – di rapire i bambini. Corsi e ricorsi .
Un segno della supposta marcata alterità riguarda il nomadismo. Anche qui molta ignoranza. Vorrei innanzitutto rammentare un certo percorso semantico. Fino a pochi anni fa i rom e sinti venivano apostrofati col termine di “zingari”, un epiteto che gli antropologi definiscono come eteronimo cioè come nome dato dall’esterno. I rom e sinti tra di loro non si chiamano così. Inoltre è un termine che ha assunto nel tempo un significato derogatorio per cui gli intellettuali e attivisti rom hanno iniziato una battaglia tesa al riconoscimento del loro etnonimo: rom o sinti. Le persone più aperte e democratiche hanno quindi sostituito il termine “zingari” con quello di “nomadi” considerato scevro del contenuto spregiativo. Da cui i “campi nomadi”, gli “uffici nomadi” ecc. Ma anche qui si è trattato e si tratta di un errore perché i rom e sinti non sono più nomadi da generazioni. Ma un errore persistente. Recentemente mi è accaduto di ascoltare con sconcerto in una trasmissione radiofonica un eminente politico, la onorevole Meloni, dichiarare che se i rom sono nomadi devono “nomadare”. Così la sullodata signora ha colto due piccioni con una fava, dimostrando nel contempo la sua ignoranza e le sue tenaci radici autoritarie. La sua ignoranza perché i rom e sinti sono stanziali da generazioni e il suo autoritarismo perché pretende che un individuo o un’etnia rimanga obbligata a un comportamento dato. Ma la nostra costituzione consente o non consente che un nomade decida di diventare stanziale e a me che sono stanziale la costituzione mi riconosce o non la libertà di diventare nomade ?
Sul nomadismo di rom e sinti vorrei anche contestare una diffusa convinzione, quella che detta pratica sia la conseguenza di una libera scelta e che sia addirittura un tratto istintivo dei rom e sinti, quasi che possedessero uno specifico gene. Infatti si sente spesso dire che hanno il nomadismo nel DNA. Niente di più falso.
La verità è che il nomadismo ha rappresentato una risposta culturale adattiva alle persecuzioni subite. Esistono centinaia di editti delle città stato e dei comuni medievali dove si concede a “li cingani” una presenza limitata a due/tre giorni nel territorio. Trascorsi i quali appropriarsi dei loro beni o anche ucciderli non costituiva reato.
Il processo di creazione del capro espiatorio comporta l’attribuzione di una serie di caratteristiche negative. Il soggetto da disprezzare ed esecrare deve meritarsi il disprezzo e l’odio. Quindi i rom e sinti rapiscono i bambini, rubano, non vogliono lavorare, costringono con la violenza i figli a elemosinare ecc. Ho cercato di esporre argomenti a confutazione del primo di questi pregiudizi. I rom rubano ? Per una risposta corretta a questo assunto vanno rammentate alcuni elementari concetti sociologici. Come tutte le società anche le comunità rom sono dotate di una struttura sociale a forma di piramide con al vertice i ricchi, le famiglie di successo e alla base il sottoproletariato. I rom segregati nei campi appartengono al sottoproletariato vale a dire a una collettività stabilmente esclusa dal mercato del lavoro e come tutti i sottoproletari, vivano essi a Roma, a Milano, a Londra o a New York, sbarcano il lunario praticando anche varie forme di illegalità tra cui il furto, il taccheggio ecc. Non certo l’aggiottaggio o il trasferimento illecito di capitali all’estero, ovviamente reati dei colletti bianchi.
La figura sociale del rom come viene coltivata dall’immaginario collettivo alimentato dai mass media è quella del “nomade” straccione, sporco, residente nei campi, spesso discariche di rifiuti di ogni genere. E’ una rappresentazione deformata, caricaturale, funzionale però al ruolo di capro espiatorio. In realtà la società rom – peraltro assai articolata al suo interno – non è composta solo di sottoproletari. In Italia ad esempio si stima che i rom e sinti ammontino a 150-180 mila. Quelli che vivono ghettizzati nei campi e che possiamo ritenere in gran parte sottoproletari sono 26.000 vale a dire il 15% del totale, una minoranza. La maggioranza vive nelle case, paga l’affitto, lavora, manda i figli a scuola, è perfettamente integrata.
Altra accusa scagliata contro i rom e sinti è quella che non vogliono integrarsi pertanto l’implicito corollario è che la condizione di esclusione non è il risultato del rifiuto della società maggioritaria quanto della volontà di autoesclusione. Certo è vero che molte comunità si sono rinchiuse in sé stesse, compattandosi e rafforzandosi attraverso l’endogamia. In alcuni campi ho personalmente rilevato l’elevatezza del numero di matrimoni tra primi cugini. Ma anche qui ci aiutano i paradigmi antropologici. Le comunità si chiudono in sé per sopravvivere agli ambienti ostili. E difatti la sopravvivenza dell’etnia dei rom e sinti a secoli di persecuzioni anche violente è quasi un enigma antropologico tanto è vero che sono anche stati etichettati come popoli della resistenza.
Pochi sanno che diverse istituzioni e agenzie internazionali, dalla Nazioni Unite al Consiglio d’Europa all’Unione europea, solo per citarne alcune, sono ripetutamente intervenute con dichiarazioni, esortazioni, iniziative concrete a sostegno di rom e sinti. Ad esempio nel 2011 l’Unione Europea ha sollecitato i 27 stati aderenti a dotarsi – se già non l’avessero – di una strategia nazionale d’inclusione. Il governo italiano l’ha adottata nel 2012. Il documento relativo, di circa 100 pagine, è stato redatto dall’UNAR (Ufficio Nazionale Antiscriminazione Razziale) a sua volta istituito nel 2003 su richiesta della medesima UE. Il contenuto è altamente apprezzabile: si fonda sulla individuazione di 4 pilastri sui quali costruire un processo di inclusione: casa, lavoro, salute e istruzione. Le analisi sviluppate e le proposte individuate risultano ragionevoli e coerenti e scaturiscono da una corretta conoscenza della articolata situazione di rom e sinti in Italia. L’attuazione concreta della strategia è demandata a tavoli bilaterali che le Regioni e i Comuni più grandi avrebbero dovuto istituire. Sono trascorsi più di 7 anni e la condizione di rom e sinti invece di migliorare è peggiorata.

*Presidente associazione Cittadinanza e Minoranze

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