Il re è nudo
Anna Pizzo
Io resto a casa non è solo la campagna del governo. Non è solo un obbligo. E’ una necessità. Anzi, la sola forma di prevenzione che a oggi possiamo permetterci. Il resto sono chiacchiere. Le curve, le speranze che il virus, come fosse uno sterminato sciame di cavallette, si stia spostando altrove e con ciò faccia tirare a noi italiani un respirone, dopo le multiformi accuse di untoraggio che ci sono cadute addosso, sono tutte chiacchiere. La verità è che restare a casa è la sola cosa che può abbastanza garantirci.
Ma chi la casa non ce l’ha? Chi l’ha persa, chi vive in 12 in 12 metri quadrati, come ad esempio i migranti, o chi è senza fissa dimora, o chi sopravvive nei campi, chi è stato rinchiuso nelle prigioni o nei gerontocomi, o chi giace nei manicomi che per vergogna più che per pudore vengono chiamati Rsa (Residenze sanitarie assistite)?
Dei reclusi nelle istituzioni totali in tempo di corona virus non si parla. Qualche volta sono loro a far parlare, come è successo per i detenuti. E allora via alla stura di recriminazioni contro “i violenti” contro la “insensibilità” di chi non coglie la drammaticità del momento. Poi si volta pagina.
E si volta pagina sui rom, 25, 30 mila, che vivono nei campi senza che per loro sia stato speso non dico uno sguardo di attenzione ma nemmeno un gesto di pietà. Sarebbe stato più sincero se le autorità sanitarie e quelle politiche li avessero inclusi nell’elenco dei “non necessariamente salvabili”, come hanno fatto per gli anziani. Ma per loro non c’è nemmeno quell’accenno di “pietas disperata”, quel ralismo della ferocia che è stato usato per chi non ha anagraficamente diritto di sopravvivere.
Ecco, molto semplicemente possiamo dire che il corona virus ha avuto il merito di rivelare quanto nudo sia il re e quanto grande sia il bisogno di civiltà cui tutti noi avremmo diritto. Di qualsiasi età, sesso, religione e cultura.