Buoni spesa anche ai rom, sindaca
Gentile sindaca di Roma
nel mio ruolo di presidente dell’associazione “Cittadinanza e Minoranze” che da anni, in regime di totale volontariato, cerca di supportare rom e sinti della capitale, le vorrei segnalare la condizione di accresciuta indigenza che la diffusione del virus e le necessarie misure di contrasto hanno determinato.
La maggior parte dei rom che vivono nei campi, siano essi autorizzati, tollerati o spontanei, vivono alla giornata esercitando saltuariamente mestieri marginali per non citare la pratica dell’elemosina.
Il blocco della mobilità ha comportato il crollo delle pur marginali attività economiche. Molte famiglie sono letteralmente alla fame.
Opportuna pertanto mi è sembrata l’iniziativa governativa che finanzia i comuni perché distribuiscano “buoni spesa”.
Ecco, mi permetto di rammentare, ma probabilmente non ce ne sarà bisogno, le condizioni delle comunità rom che si sentono abbandonate pur in presenza di necessità crescenti e oggettive.
Le sarei grato per un cenno di risposta.
Questa la lettera che la nostra associazione ha inviato alla sindaca di Roma per ottenere che anche ai rom indigenti venga fornito il buono spesa.
Ma vediamo in cosa consiste questa nuova misura decisa dal governo: dovrebbe entrare in vigore entro martedì 31 marzo. Si tratta di 400 milioni di euro destinati ai Comuni per finanziare i buoni spesa e fronteggiare l’emergenza alimentare. La tempistica è scritta nella versione definitiva dell’ordinanza della Protezione civile, che fissa anche i criteri di ripartizione delle risorse. L’80% del fondo sarà distribuito in base alla popolazione, e l’altro 20% si concentrerà nelle zone più povere in base al parametro della distanza fra il reddito pro capite del Comune e quello medio nazionale.
I sindaci e servizi sociali dovranno individuare le famiglie a cui riservare il buono spesa.L’ordinanza non fissa al momento il valore del buono: ma con 400 milioni di euro dovrebbe avvicinarsi a una media di 400 euro, dal momento che i calcoli svolti su una prima ipotesi da 300 milioni parlavano di 300 euro. Evitare di indicare l’importo nel provvedimento pare comunque una scelta saggia, perché permette ai Comuni di agire con più flessibilità modulando le risorse disponibili. La prova per le amministrazioni locali non è semplice: i buoni spesa potranno essere acquistati direttamente, con una deroga al Codice degli appalti che permette di accelerare parecchio. Ma è inevitabile che per acquisto e individuazione delle famiglie da aiutare ci vorrà almeno qualche giorno.
Le risorse per i buoni spesa sono tutt’altro che infinite, ma per sostenere le Casse comunali interviene la seconda mossa. Da 4,3 miliardi. Queste non sono risorse aggiuntive, ma un’anticipazione del Fondo nazionale dei Comuni (il nome, “Fondo di solidarietà”, nasce anni fa e non c’entra con l’emergenza, perché riguarda l’aiuto che i Comuni con più risorse fiscali danno agli enti più poveri) che ogni anno vale. L’anticipo è un meccanismo ordinario, che è avviene tutti gli anni. L’anno scorso fu deciso il 20 marzo. Straordinario è il contesto, ed è ovvio che anche questi soldi aiuteranno i sindaci nelle spese emergenziali mentre le Casse si svuotano per l’impossibilità di incassare tributi, tariffe e canoni. Proprio per questa ragione, una parte importante delle risorse servirà alle spese ordinarie della macchina amministrativa che non riescono a essere alimentate dalle entrate proprie degli enti.
Del resto una paralisi delle amministrazioni per mancanza di fondi sarebbe stato un problema esplosivo sul piano sociale. Perché soprattutto al Centro Sud molti Comuni stanno già da giorni affrontando l’emergenza alimentare con mezzi di fortuna. Con l’aiuto del volontariato. E con lo sforzo straordinario di amministratori locali e dipendenti: uno sforzo, soprattutto negli enti medio-piccoli, inversamente proporzionale al valore di indennità e stipendi.