Commissione di inchiesta, il testo della proposta
CAMERA DEI DEPUTATI Doc. XXII PROPOSTA DI INCHIESTA PARLAMENTARE D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI MARTELLI, PIRAS, RICCIATTI, DURANTI, FASSINA, MELILLA, CARLO GALLI, ANDREA MAESTRI, AIRAUDO, NICCHI, PELLEGRINO,CHAOUKI, D’ATTORRE, DANIELE FARINA, FAVA, FOLINO, PANNA- RALE, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO, ZACCAGNINI
Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull’allestimento, sulla gestione e sulla manutenzione dei campi nomadi nel territorio del comune di Roma
Presentata il 25 luglio 2016
ONOREVOLI COLLEGHI ! — Il clamore nazionale e internazionale suscitato dalle indagini della procura di Roma in merito al sistema criminale che ruotava attorno alla gestione dei campi nomadi ha suscitato scandalo in tutti i cittadini, fiduciosi in un sistema di accoglienza che non sapevano essere infiltrato dal malaffare. Un ulteriore filone d’indagine si è aperto nel mese corrente (luglio 2016), relativo a gravissimi episodi di corruzione nel Di- partimento politiche sociali, sussidiarietà e salute di Roma capitale e in alcune cooperative attualmente sotto inchiesta.
Il legame intrinseco tra criminalità organizzata e violazioni dei diritti umani rende irrimandabile oggi un’inchiesta politico-parlamentare, che consenta alle istituzioni di riprendere il controllo di un fenomeno evidentemente sfuggito alla legalità e ai cittadini di ritrovare la fiducia nel sistema di assistenza ad alcune delle classi più svantaggiate. Questo legame, in particolare, richiede la massima attenzione da parte del Parlamento. La denuncia depositata alla procura di Roma da parte del presidente del
partito Radicale, Giacinto Marco Pannella, il 17 giugno 2015, ha inequivocabilmente rivelato la natura del rapporto che intercorre tra il malaffare emerso dalle indagini della procura e la sistematica mancata applicazione delle leggi a tutela dei diritti umani fondamentali, oltre che degli impegni presi in sede europea con la ratifica della Strategia nazionale d’inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti (in attuazione della comunicazione della Commissione europea n. 173/2011) nel marzo 2012: l’atto di denuncia consegna un quadro in cui la ghettizzazione e la discriminazione razziale sono direttamente funzionali alla corruzione. Non è quindi certo per smi- nuire l’eccellente lavoro svolto dalla procura e le attente indagini condotte dalla Commissione d’inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere che si afferma la necessità di un approfondimento particolare di questo specifico aspetto, che richiede un cambio di passo anzitutto nelle politiche d’inclusione sociale ai fini del ripristino della legalità.
Per questa ragione si ritiene necessaria la presentazione di una proposta di legge istitutiva di una Commissione d’inchiesta sull’allestimento, sulla gestione e sulla ma- nutenzione dei campi nomadi nel territorio del comune di Roma, su cui si auspica il sostegno trasversale delle forze politiche rappresentate. È infatti innegabile, come evidenziato dalla denuncia depositata da Pannella, che il recente scandalo difficilmente avrebbe potuto verificarsi se non fosse stata presa la decisione, nel 1994, di accogliere e concentrare i cittadini d’etnia rom in quei luoghi di segregazione spaziale, abitativa e sociale, denominati « villaggi della solidarietà », come soluzione provvisoria assunta con ordinanze del sindaco di Roma. Una soluzione divenuta negli anni definitiva con il con- seguente fallimento dell’inclusione sociale e l’avvio di una politica discriminatoria alimentata da un sistema di malaffare, che sembra aver tratto rilevante profitto proprio dal mantenimento, a tempo indeterminato, del «sistema dei campi », i cui elevatissimi costi pubblici potrebbero giustificarsi solo in una situazione realmente transitoria e non certo protratta per ben venti anni.
Le politiche condotte dalle amministrazioni capitoline, lungi dal costituire un unicum, bensì emblematiche dell’infausto approccio emergenziale cui si è assistito, indipendentemente dal colore politico e dalla buona fede dei governi in carica, hanno evidentemente fallito. Sarebbe difficile riassumere in questa sede la lunga serie di richiami, fino alla più volte paventata apertura di una procedura d’infrazione, ricevuti dall’Italia da parte degli organismi sovranazionali, in primis la stessa Unione europea. Giova tuttavia ricordare come il Comitato europeo dei diritti sociali (CEDS), il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, il Comitato per l’eliminazione della discriminazione razziale e l’Alto Commissario OSCE per le minoranze nazionali abbiano già ripetutamente denunciato la violazione da parte dell’Italia del principio generale di non discriminazione.
Lo stesso Parlamento italiano ha condannato con forza la politica dei campi mono-etnici e degli sgomberi forzati, a cominciare dal Senato della Repubblica che, nel rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Caminanti, approvato il 9 febbraio 2011, ha riconosciuto l’inefficacia del « Piano nomadi » sotto il profilo della sicurezza e dell’integrazione. Detto Piano, non è inutile ricordarlo, è stato dichiarato illegittimo e annullato con sentenza (n. 06050) emessa dal Consiglio di Stato il 16 novembre 2011.
Il carattere palesemente discriminatorio della catastrofica gestione dei campi rom da parte di Roma Capitale, è stato peraltro accertato e formalmente riconosciuto, con ordinanza emessa dal tribunale civile di Roma il 30 maggio 2015 (proc.n. 17035/2012 R.G.A.C.), in relazione alla specifica fattispecie dell’assegnazione di alloggi nel campo attrezzato de La Barbuta. È guardando a tali giudizi espressi dal tribunale in merito a precise scelte politiche che il Parlamento oggi può svolgere un prezioso ruolo d’indagine sulle condizioni effettive che hanno consentito una mole tale di infiltrazioni e speculazioni. Nel caso specifico, infatti, il tribu- nale di Roma ha accertato che detto campo attrezzato risulta non idoneo « a ospitare un insediamento umano per incompatibilità con il decreto legislativo n. 96 del 2005 e decreto ministeriale 20 aprile 2006, perché posto a ridosso dell’aeroporto di Ciampino »; ubicato in area periferica del comune di Roma caratterizzata da strutturale mancanza della rete di servizi necessaria e propria delle aree destinate all’espansione urbanistica, quale conseguenza inevitabile dell’originaria e non mutata destinazione a verde pubblico della zona; realizzato con moduli abitativi rappresentati da prefabbricati di circa 30 metri quadrati, conformi alla normativa tecnica tesa a garantire la salute e la sicurezza delle persone che utilizzano case mobili come alloggio temporaneo o stagio- nale, quali caravan, e, tuttavia, destinati a ospitare stabilmente estesi nuclei familiari; gestito in maniera da produrre rilevanti limitazioni persino alla libertà personale e riservatezza degli ospitati, derivanti dal rigido regolamento del campo « Villaggio della solidarietà », che comprime, in maniera inaccettabile, modalità e orari di visite. Il tribunale giunge persino ad affermare una compromissione e un ridimensionamento della natura realmente libera della permanenza: risulta evidente come l’analisi delle scelte politiche non possa essere avulsa dall’indagine sulle speculazioni di tipo criminale in quanto, come evidenziato dalla summenzionata denun- cia, è palese il legame diretto che unisce l’illegalità dei luoghi con quella della ge- stione degli stessi.
Pertanto l’istituzione di una Commissione d’inchiesta sull’allestimento, sulla gestione e sulla manutenzione dei campi nomadi nel territorio del comune di Roma offre un’opportunità storica nell’esigenza internazionalmente espressa della necessità di un cambio di passo nelle politiche d’inclusione, che non si limiti all’accertamento delle responsabilità, ma si proponga come spinta per il legislatore nell’adozione di futuri provvedimenti che si pongano in modo antitetico rispetto alle politiche che hanno condotto ai risultati stigmatizzati tanto dai citati organismi sovranazionali quanto dalla stessa Procura della Repub- blica. Questa è stata infatti chiamata ad accertare le responsabilità penali laddove il peso delle responsabilità politiche costi- tuisce di fatto l’elemento portante del sistema corruttivo, in quanto l’istituzione di spazi fondati sul pregiudizio e la se- gregazione razziale non poteva e non può condurre ad esiti differenti.
Benché il giudizio del tribunale civile sul caso La Barbuta abbia chiarito come il carattere non transitorio della soluzione abitativa fosse riconducibile alla fattispecie della discriminazione indiretta, sarà com- pito della Commissione d’inchiesta accer- tare se la scelta di mantenere immutato l’illegale e segregante sistema dei campi nomadi risponda a un preciso disegno criminoso, volto alla speculazione sull’assistenza. A tale proposito, la denuncia di Marco Pannella ipotizza i connotati marcatamente dolosi della premeditazione e quindi gli estremi del grave delitto di discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, previsto e punito dall’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654. Certo è che non si possa più ormai derubricare il sistema campi a semplice esempio di miopia po- litica, considerata la mole del flusso di denaro pubblico confluito in quella che si è rivelata essere una vera e propria spar- tizione del patrimonio erariale ai danni tanto degli abitanti dei campi quanto dei contribuenti tutti. Non potrà quindi la futura Commissione d’inchiesta esimersi dall’approfondire il ruolo assunto dalla propaganda razzista e dagli sgomberi « mediatici » nel malaffare delle speculazioni.
Sempre secondo l’atto di denuncia, un’importante prova del peculiare funzionamento del sistema dei campi rom è rappresentata dal film « Dragan aveva ragione », un documentario-denuncia girato dagli attivisti Giovanni Carbotti e Camillo Maffia all’interno dei campi rom nel periodo agosto-novembre 2013. Il film ritrae la cruda scena dello sgombero (distruzione) di un campo « non autorizzato » sito in via Salviati, quartiere Tor Sapienza, eseguito il 12 settembre 2013 (ordinanza del sindaco di Roma 5 agosto 2013, n. 184, prot. n. 13159), ai danni di alcuni rom d’origine serba, fuggiti da quello « autorizzato » di Castel Romano, costato al comune di Roma 150.615 euro, per l’azione di due ruspe e un camion, caratterizzato dalla insistenza per riportare i rom fuggiti proprio nel sud- detto campo gestito dalla cooperativa Eriches 29, facente capo a Salvatore Buzzi, il quale, nel corso di una conversazione oggett d’intercettazione, com’è noto, pubblicata dalla stampa (L’espresso, ed. online del 2 dicembre 2014) dichiarava: « noi (…) tutti i soldi, gli utili, li abbiamo fatti sugli zingari, sull’emergenza alloggiativa e sugli immigrati ». Un caso che offre ulteriore prova di quanto espresso dalla citata sentenza del tribunale civile che pone tra virgolette la « volontarietà » dell’accettazione degli al- loggi del campo autorizzato da parte di chi viene sgomberato dai campi non autorizzati ovvero abusivi, atteso che la soluzione offerta, e quanto meno statisticamente prevalente, in quanto a monte predeterminata, non risulta essere altra che quella del campo autorizzato. La violenza del raid della polizia municipale, l’incendio doloso, il degrado sociale, l’inquinamento ambientale eccetera rendono il film già di per sé un atto di denuncia che lo stesso Marco Pannella estensore del documento ritenne di dover allegare a quanto rap- presentato alla Procura della Repubblica. Il lungometraggio rivela infatti come i reati di discriminazione razziale siano intima- mente connessi non solo al malaffare e alla speculazione, ma anche a un vero e proprio universo d’illegalità che circonda il campo nomadi come spazio di segregazione razziale, dallo smaltimento abusivo dei rifiuti alle forme di mercimonio rela- tive alla manutenzione e assegnazione degli alloggi.
Una Commissione d’inchiesta quindi, sia detto ancora una volta, non esaurirà il suo significato nell’accertamento delle re- sponsabilità dei soggetti coinvolti, ma si proporrà come punto di svolta che possa aprire la strada a una nuova concezione dell’inclusione, finalmente conforme agli impegni presi dall’Italia in sede interna- zionale. Il tanto evocato « superamento dei campi » difficilmente sarà possibile senza un’indagine approfondita dei meccanismi speculativi che hanno reso possibile ilmantenimento dei campi, difficilmente su- perabili se permangono in vita gli interessi che ruotano attorno all’attuale sistema. I campi nomadi sono una vergogna nazionale che caratterizza purtroppo il nostro Paese. Le diverse visioni politiche in merito all’accoglienza non possono più riposare su un dibattito di comodo che nega la vera natura criminale e crimi- nogena che soggiace al mantenimento di tali spazi. Se il Parlamento, quindi, ha già saputo efficacemente identificarne le criticità, deve però necessariamente procedere a riconoscerne anche i meccanismi speculativi se vuole effettivamente valicare questo modello infausto. In virtù di tali considerazioni nasce la irriman- dabile necessità di istituire una Commis- sione d’inchiesta che sia strumento di analisi necessaria alla proposta di soluzioni politiche compatibili con il rispetto della legalità e dei diritti umani fondamentali.
ART. 1
1. È istituita, ai sensi dell’articolo 82 della Costituzione, una Commissione parlamentare di inchiesta, con il compito di indagare sull’allestimento, sulla gestione e sulla manutenzione dei campi nomadi nel territorio del comune di Roma, di seguito denominata « Commissione ».
2. La Commissione ha il compito di: a) accertare l’eventuale esistenza di fenomeni di sfruttamento, speculazione, malaffare e lucro di qualsiasi genere nell’allestimento, nella manutenzione e nella gestione dei campi nomadi, nonché negli sgomberi, nei trasferimenti forzati, nella predisposizione e nell’attuazione dei piani redatti dall’amministrazione comunale per affrontare le situazioni di emergenza dei medesimi campi nomadi; b) acquisire informazioni e ogni do- cumento utile per accertare l’esistenza di rapporti tra eventuali violazioni dei diritti della persona ai danni di appartenenti alla minoranza rom e pratiche di corruzione nella gestione dei campi nomadi; c) verificare l’esistenza di eventuali responsabilità di organizzazioni o di indi- vidui ad esse appartenenti o appartenute in relazione ai fenomeni accertati ai sensi della lettera a).
3. La Commissione conclude i propri lavori entro dodici mesi dalla sua costituzione presentando al Parlamento una relazione sull’attività svolta e sui risultati dell’inchiesta. Sono ammesse relazioni di minoranza. Il presidente della Commissione presenta al Parlamento ogni sei mesi una relazione sullo stato dei lavori.
ART. 2.
(Composizione della Commissione e funzionamento).
1. La Commissione è composta da venti deputati nominati dal Presidente della Camera dei deputati in modo da rispecchiare la consistenza proporzionale di ciascun gruppo parlamentare e comunque assicurando la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo costituito. Per la nomina si dovrà tenere conto della rappresentanza di genere con una percentuale non inferiore al 50 per cento. Con gli stessi criteri e con la stessa procedura si provvede alle sostituzioni che si rendano necessarie in caso di dimissioni dalla Commissione o di cessazione dal mandato parlamentare.
2. Il Presidente della Camera, entro dieci giorni dalla nomina dei suoi componenti, convoca la Commissione per la costituzione dell’ufficio di presidenza.
3. L’ufficio di presidenza, composto dal presidente, da due vicepresidenti e da due segretari, è eletto a scrutinio segreto dalla Commissione tra i suoi componenti. Nella elezione del presidente, se nessuno riporta la maggioranza assoluta dei voti, si procede al ballottaggio tra i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti. In caso di parità di voti, è proclamato eletto o entra in ballottaggio il più giovane di età.
4. Per l’elezione, rispettivamente, dei due vicepresidenti e dei due segretari, ciascun componente della Commissione scrive sulla propria scheda un solo nome. Sono eletti coloro che hanno ottenuto il maggior numero di voti. In caso di parità di voti, si procede ai sensi del comma 2.
5. La Commissione approva, prima dell’inizio dell’attività di inchiesta, un regolamento interno per il proprio funzionamento.
6. Le spese di funzionamento della Commissione, che non possono superare l’importo di euro 50.000, sono poste a carico del bilancio interno della Camera dei deputati.
ART. 3.
(Poteri e limiti della Commissione).
1. La Commissione procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le medesime limitazioni dell’autorità giudiziaria. Per le audizioni a testimonianza in Commissione si applicano le disposizioni di cui agli articoli da 366 a 384-bis del codice penale.
2. Alla Commissione, limitatamente all’oggetto delle indagini di sua competenza, non può essere opposto il segreto di Stato per il quale si applica quanto previsto dalla legge 3 agosto 2007, n. 124, né il segreto d’ufficio. In nessun caso, per i fatti rientranti nei compiti della Commissione, può essere opposto il segreto professionale o quello bancario. Non possono essere oggetto di segreto fatti eversivi dell’ordine costituzionale di cui si è venuti a conoscenza per ragioni della propria profes- sione, salvo per quanto riguarda il rap- porto tra difensore e parte processuale nell’ambito del mandato. Quando gli atti o i documenti siano stati assoggettati al vincolo del segreto funzionale da parte delle competenti Commissioni parlamen- tari di inchiesta, detto segreto non può essere opposto alla Commissione di cui alla presente legge.
3. La Commissione può avvalersi dell’opera di agenti e ufficiali di polizia giudiziaria e delle collaborazioni che ritenga necessarie.
4. La Commissione può ottenere, anche in deroga a quanto stabilito dall’articolo 329 del codice di procedura penale, copie di atti o documenti relativi a procedimenti o inchieste in corso presso l’autorità giudiziaria o altri organi inquirenti. L’autorità giudiziaria provvede tempestivamente e può ritardare, con decreto motivato solo per ragioni di natura istruttoria, la trasmissione di copie degli atti e documenti richiesti. Il decreto ha efficacia per trenta giorni e può essere rinnovato. Quando tali ragioni vengono meno, l’autorità giudiziaria provvede senza ritardo a trasmettere quanto richiesto. L’autorità giudiziaria può trasmettere copie di atti e documenti anche di propria iniziativa.
5. Tutte le volte che lo ritenga opportuno la Commissione può riunirsi in seduta segreta.
6. La Commissione stabilisce quali atti e documenti non devono essere divulgati anche in relazione a esigenze attinenti ad
altre istruttorie o inchieste in corso. Devono comunque essere coperti dal segreto i nomi, gli atti e i documenti attinenti a procedimenti giudiziari nella fase delle indagini preliminari.
7. La Commissione cura l’informatizzazione dei documenti acquisiti e prodotti nel corso della propria attività.
ART. 4.
(Obbligo del segreto).
1. I componenti della Commissione, i funzionari e il personale di qualsiasi ordine e grado addetto alla Commissione stessa e tutte le altre persone che collaborano con la Commissione o compiono o concorrono a compiere atti di inchiesta oppure di tali atti vengono a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio, sono obbligati al segreto, anche dopo la cessazione dell’incarico, per tutto quanto riguarda le deposizioni, le notizie, gli atti e i documenti acquisiti al procedi- mento d’inchiesta di cui all’articolo 3, comma 6.
2. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la violazione dell’obbligo di cui al comma 1, con informazioni diffuse in qualsiasi forma, è punita a norma dell’articolo 326 del codice penale.
3. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, le stesse pene di cui al comma 2 si applicano a chiunque dif- fonde, in tutto o in parte, anche per riassunto o informazione, notizie, deposizioni, atti o documenti del procedi- mento d’inchiesta dei quali sia stata vietata la divulgazione.
ART. 5.
(Entrata in vigore).
1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pub- blicazione nella Gazzetta Ufficiale.