Il paradigna di Torre Maura

Valeria Cavalletti*

Torre Maura è una periferia degradata di Roma. Una periferia dove servizi, infrastrutture, trasporti, raccolta di rifiuti, sono a dir poco carenti; dove l’amministrazione comunale è pressoché assente, così come le istituzioni per il controllo sociale; dove la popolazione vive in situazioni economiche difficili; dove gli abbandoni scolastici si registrano già nelle ultime classi delle elementari; dove il disagio sociale, che esaspera gli abitanti, si trasforma in rabbia, fagocitata dall’estrema destra di CasaPound che gode del bene placido delle destre governative. I rom di Roma, ghettizzati nei campi, sempre più emarginati dalle amministrazioni pubbliche a cominciare da quelle del Governo Centrale; lontani dai centri abitati, rifiutati ed esclusi, sono considerati come una Peste, al pari del razzismo nazista.
Attualmente i rom stanno subendo la politica ostracista con la chiusura dei campi; con interventi che non consentono loro alternative valide di inserimento.
Il sussidio di 800 euro per due anni, previsto dal piano di sgombro dell’Amministrazione Capitolina, destinato ai rom, purché si trovassero una casa e un lavoro, è fallito. Nessuno tra i cittadini romani si è mostrato disposto ad offrire ai rom casa e/o lavoro.
Dobbiamo considerare, altresì, tutti i rom esclusi dal sussidio, per non avere il permesso di soggiorno, molti dei quali sono profughi della ex Jugoslavia; per i quali l’Italia aveva varato un provvedimento per offrire loro un permesso umanitario; permesso decaduto non appena sono approdati in Italia i rom. Fallito il piano di rinserimento, l’Amministrazione Capitolina, per la sistemazione dei rom evacuati dai campi, ha posto in atto un provvedimento tampone: allocare nei centri di accoglienza donne e bambini, escludendo gli uomini, padri, fratelli e congiunti maschi. La conseguenza ha visto molte famiglie, le quali, per rimanere unite, sono finite accampate negli angoli delle strade, come quelle in prossimità della stazione ferroviaria Centrale di “Termini”.
Altro provvedimento tampone è stato quello di trasferire i rom sgombrati dai campi, all’edificio fatiscente, ex clinica, di Torre Maura.
La deportazione a Torre Maura dei rom, già invisi in generale all’opinione pubblica, stigmatizzati dai media orientati a destra e non solo; messi in un quartiere già critico sul piano economico, politico, culturale, urbanistico, ha innescato la miccia della rivolta nella popolazione locale con atteggiamenti violenti, pari alla rabbia covata per le condizioni di vita, che si sono rovesciati sui rom, 70 persone di cui 33 bambini, divenuti il capro espiatorio del disagio sociale.
Le manifestazioni aggressive si sono svolte con assembramenti della popolazione attorno all’edificio che ospitava i rom, con il lancio di sassi, con l’incendio dei cassonetti dei rifiuti e del furgone che trasportava le vivande per i rom, con le percosse agli operatori del servizio alimentare, con la distruzione dei pasti, tra cui il pane gettato a terra e calpestato; con insulti verso i rom al grido: “devono morire di fame”. Alle azioni di violenza hanno fatto seguito i canti corali al grido dell’Inno Nazionale “Fratelli d’Italia” (la sigla del partito di destra) cantato col braccio alzato a mo’ di saluto fascista, per sottolineare l’atteggiamento squadrista di un’identità nazionalista che respinge come un oltraggio un’etnia altra, considerata peste inquinante.
L’Amministrazione Capitolina ha reagito, non ripristinando l’ordine e tutelando i rom alloggiati all’edificio di Torre Maura, ma dando ragione alla popolazione locale. Ciò ha comportato una nuova deportazione dei rom, trasferiti ad altra destinazione. Le Associazioni Cittadinanza e Minoranze “Rete Fiore, AIZO sezione romana e il Movimento delle Donne in Nero di Roma, denunciano l’accaduto, frutto della irresponsabilità politica, e sollecitano l’apertura di un tavolo governativo in vista di una risoluzione dei problemi dei rom e dei sinti. Le Associazioni ritengono urgente e improcrastinabile varare un piano di inserimento dei rom e dei sinti, concertato tra i rom e la cittadinanza che deve accoglierli. Ciò nel rispetto degli artt. 2 e 3 della costituzione italiana:
Art.2 “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
Art.3 “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociale”.

* Questo articolo è stato pubblicato da Noidonne

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