La normalità di una sistematica esclusione
Questo articolo è uscito sul manifesto il 16 dicembre scorso.
Anna Pizzo
Le femministe delle case delle donne di Roma e Milano e le suore della Sacra famiglia. La scrittrice Edith Bruch e lo scrittore Domenico Starnone. L’Arci nazionale e Sant’Egidio, Veronica Pivetti, attrice, tutto l’equipaggio di Mediterranea e la Caritas di Latina, e poi Luigi Manconi, Marco Revelli, Luigi Ferrajoli, il direttore del quotidiano Avvenire e il condirettore del Manifesto. Adriano Sofri, Luigi Ciotti, Goffredo Fofi, Gad Lerner, Alex Zanotelli, Tomaso Montanari. Moltiplicate per duecentocinquanta e otterrete il numero delle persone o delle associazioni che hanno firmato, e stanno continuando a farlo in queste ore, l’appello “Liberiamo Roma dall’apartheid” che l’associazione Cittadinanza e Minoranze ha deciso di lanciare un po’ per disperazione e un po’ di più per sfida.
La disperazione nasce dalla situazione che, soprattutto a Roma, dopo anni di “ragionevoli” persecuzioni da parte dei variopinti sindaci che si sono succeduti, ha colpito duramente i Rom sgomberati, umiliati, perseguitati, ignorati.
La sfida è per opporsi a quello che stanno subendo e che nessuno vede o vuole vedere. Ecco perché la parola non è stata scelta a caso. Avrebbero potuto scrivere che è in atto un tentativo di genocidio, oppure che stiamo assistendo a una tempesta perfetta, quella che in meteorologia descrive un ipotetico uragano che colpisce esattamente l’area più vulnerabile. Invece hanno scelto apartheid perché, “è una parola terribile: indica un sistema di esclusione e dominio codificato in leggi – si legge nell’appello – Ma esiste un apartheid non scritto, perciò ancora più terribile. Perché si nega, non si vede”. E non voler vedere è come non voler sentire e, invece, le parole sono pietre e le cose, dicono i firmatari dell’appello, vanno nominate per quello che sono.
”Chi si indigna, nei media, tra gli intellettuali, nella politica, se si pratica un ferreo apartheid nei confronti di Rom, Sinti e Caminanti? – recita l’appello – E quante calunnie, quanti pregiudizi, azioni discriminatorie, sottrazioni di bambini alle loro famiglie saranno necessari perché ci si renda conto che nel nostro paese c’è una minoranza sistematicamente discriminata e perseguitata? Che per andare a scuola i bambini faticano il doppio degli altri? Ma chi li vede come scolari? Chi li ascolta?”. Domande senza risposte se non quelle di un bel po’ di gente perbene, non importa se ebrea, cattolica o senza religione che sì, si è indignata, fortunatamente, e del quotidiano della Cei, Avvenire, che domenica scorsa ha dedicato l’apertura del giornale, un’intera pagina interna e la spalla nella home page del sito all’appello e a dare conto della significativa raccolta di firme che prosegue (annapizzo2014@gmail.com).
Tre storie minime, esempi di una insopportabile “normalità”: in due mesi la ex sindaca di Roma ha fatto sgomberare due campi autorizzati in cui molti di quelli che li abitavano sono nati e cresciuti. Ma a molti di loro non ha “offerto” alcuna alternativa perché colpevoli di non aver voluto firmare un patto fasullo con il Comune. Molti di loro vivono ancora nelle loro scassatissime automobili ai margini dei campi ormai ridotti un cumulo di macerie. E allora la sindaca cosa fa? Manda i vigili a controllare che le auto/case abbiano l’assicurazione pagata, altrimenti c’è il sequestro.
Secondo esempio: c’è una giovane donna rom che ha partorito un anno fa un bel bambino che le è stato rubato prima dalle assistenti sociali e poi dai tribunali perché quando era minorenne è andata in prigione per furti di motorini. “Pericolosa per sé e per gli altri”. L’adozione resa necessaria “nell’interesse del minore”. A nulla vale dire che non è più la ragazzina di allora, lei e il suo compagno, guardia giurata, vogliono il figlio e hanno i mezzi per mantenerlo. Sbagliato: lui viene licenziato perché la guardia giurata ha l’obbligo di portare l’arma ma la sua gli viene requisita perché convive con una persona “borderline”.
Infine: parecchi rom sono riusciti a sopravvivere, in tempi di pandemia, grazie al reddito di cittadinanza. Ma ora arrivano i controlli e se chi ne ha goduto non può dimostrare che vive in Italia da almeno dieci anni, l’appannaggio mensile decade e, dulcis in fundo, deve restituire gli arretrati fino all’ultimo euro. Pochi rom hanno i documenti in regola e sapete perché?