Pregiudizi al quadrato
Marco Brazzoduro* da: Adista Segni Nuovi n° 26 del 13/07/2019
Finito il clamore della violenza contro rom regolarmente assegnatari di case popolari nelle periferie romane, si è tornati alla “normalità”: alla ribalta delle cronache solo per episodi legati alla microcriminalità – ma quante volte i ladri sono definiti “zingari” senza che ci sia nessun elemento che lo dimostri – i rom e sinti sono ignorati nella loro realtà umana, che a volte si stenta perfino a percepire, tale è il pregiudizio che li avvolge. Un’immagine costruita nel tempo su stereotipi e valutazioni negative a priori, che ha forgiato politiche e interventi – quasi sempre fallimentari –, e che a volte impedisce, perfino tra gli operatori solidali – “aiutiamo tutti ma con gli ‘zingari’ è diverso” – una riflessione seria sul crimine che da anni commettiamo con i campi, veri e propri ghetti etnici marginalizzanti e degradanti. Abbiamo chiesto un aggiornamento al sociologo Marco Brazzoduro, presidente di Cittadinanza e minoranze, e impegnato nella solidarietà con il mondo rom sinti a tutto campo, dalle sedi istituzionali anche europee all’assistenza quotidiana ai singoli nei campi romani. (Cristina Mattiello)
La condizione di rom e sinti nel nostro Paese risente fortemente del clima d’odio che va montando contro i migranti e gli stranieri poveri. Sottolineo “poveri” perchè è di tutta evidenza questo elemento classista nell’ostilità diffusa contro i “clandestini”, i quali poi chi sono nella realtà? Esseri umani come tutti gli altri, solo privi di un timbro o di un pezzo di carta. Un’altra distinzione che respingo e che conferma quanto detto dianzi è quella tra rifugiati e migranti economici (cioè quelli che fuggono dalla miseria). I primi da accettare e i secondi da respingere. Li respingiamo perchè poveri, appunto. Se fossero statunitensi o svizzeri non batteremmo ciglio.
I rom e sinti da sempre sono al vertice della graduatoria del pregiudizio e della discriminazione. Ma quando una delle massime autorità dello Stato italiano si permette di dire, al culmine di una prolungata campagna all’insegna della ruspa, identificata come l’elemento principe per la soluzione dei bisogni di rom e sinti, che «purtroppo i rom italiani ce li dobbiamo tenere», è evidente che l’antiziganismo e la romanofobia vengono sdoganati e quell’ostilità e quell’odio che covavano sotto la cenere si sono sentiti autorizzati a emergere senza vergogna. Uno degli insulti scagliati contro la capitana della Sea Watch è stato, appunto, “zingara”. Si pensi se al posto di zingara quel pover uomo avesse gridato “ebrea”. Impensabile per fortuna. Ma urlare “zingara” si può senza suscitare riprovazione. Perché? Perchè oggi il razzismo contro i rom e sinti è l’unico razzismo accettato, tollerato.
Sappiamo che le istituzioni internazionali (per es. l’ONU, la UE, il Consiglio d’Europa), consapevoli del clima generalizzato di discriminazione, sono intervenuti innumerevoli volte con dichiarazioni, appelli, iniziative, finanziamenti per contrastare l’antiziganismo. Nel 2011, l’UE ha chiesto ai suoi 27 membri di dotarsi di una Strategia nazionale d’inclusione. Il governo italiano l’ha approvata nel 2012. Si tratta di un corposo documento (100 pagine) in cui vengono sviscerati i vari aspetti della mancata integrazione di questa etnia e formulate adeguate proposte di inclusione.
Ma la realtà dei fatti sta a dimostrare che nulla o quasi nulla è stato fatto e i fondi stanziati dall’UE giacciono in gran parte inerti. A Roma la giunta comunale non ha istituito il previsto tavolo paritario tra Comune e rappresentanti delle comunità rom e sinte per avviarne a soluzione i problemi. Viceversa è stato calato dall’alto un piano “per il superamento dei campi” – iniziativa indubbiamente lodevole – ma dotata di una strumentazione largamente inadeguata tanto da indurre fondatamente a ritenere probabile il suo fallimento. Del resto questa sensazione è confermata da quanto è avvenuto nel 2018 con il superamento del Camping River, superamento che ha assunto le sembianze di un vero e proprio sgombero, dato che a decine di famiglie non è stata offerta nessuna alternativa se non quella di dividerle: donne e figli minorenni in casa famiglia, uomini e figli maggiorenni per strada. Senza vergognarsi.
Adesso la Croce Rossa ha vinto due bandi per il superamento dei Campi “La Barbuta”, situato nei pressi dell’aeroporto di Ciampino, e “Monachina”, adiacente alla via Aurelia poco oltre il raccordo anulare. A questi sono stati improvvisamente aggiunti i campi cosiddetti “tollerati” di Salviati 1 e 2, a Tor Sapienza, che secondo il Comune dovrebbero chiudere a settembre. Per i primi due (La Barbuta e Monachina), il termine per concludere l’operazione è fissato al 31 dicembre 2020; per i due di Salviati si pensa a un irrealistico blitzkrieg: chiusura a settembre. Ma come si crede di trasferire centinaia di esseri umani con esigenze diverse, e non polli o pacchi, da una sistemazione in luoghi di segregazione a una collocazione che rispetti la dignità delle persone, in poche settimane, da parte di un’amministrazione che non riesce neppure a tenere pulite le strade?
Ma i rom e sinti cominciano a muoversi, ad assumere consapevolezza della condizione di emarginazione cui sono destinati e a prendere in mano il loro destino. L’anno scorso il 2 di agosto, in occasione del giorno del ricordo del porrajmos, lo sterminio di rom e sinti perpetrato dal regime nazista, si è svolta una nutrita manifestazione davanti al Parlamento con bandiere, striscioni e canti. Quest’anno, il 16 maggio, commemorando la rivolta di rom e sinti reclusi nello Zigeunerlager di Auschwitz-Birkenau, a Milano oltre 1.000 rom e sinti sono sfilati in corteo prima di incontrare i candidati alle elezioni europee cui illustrare i propri desiderata. I giovani rom hanno fondato un movimento (Ketanè=insieme) che si propone di rivendicare l’orgoglio della romanipè e di lottare per il riconoscimento dei propri diritti non in una logica di separazione, ma di inclusione e condivisione. Il mondo dei rom e sinti alza la testa: gli diamo il benvenuto.