Prove generali di un fallimento
Che si tratta, per l’ennesima volta, di misure emergenziali e non di un piano organico, quello che il comune di Roma ha presentato lo scorso maggio, lo certifica, nero su bianco, la delibera 146 del 28 giugno laddove, per l’avvio dell’operazione “chiusura”, in fretta e furia aggiunge ai campi rom di Monachina e Barbuta il Camping River sulla via Tiberina. L’accordo con i proprietari prevedeva la restituzione entro giugno, slittata, senza ulteriori proroghe, al 30 settembre.
La stessa delibera dello scorso giugno contiene anche un’ulteriore “perla” con una valenza dirompente per tutti coloro che da anni, da decenni, abitato nei campi. Così si legge, infatti, nelle premesse: “Nel testo del Piano di indirizzo è necessario modificare la dicitura ‘residenti nei campi’ con ‘persone incluse nei censimenti ufficiali redatti dalla polizia locale’…”. Basta mezzo rigo per cambiare lo status e il destino di molte donne, uomini, bambini. Di certo, per i 430 di Camping river, 250 dei quali minori, che passano da essere cittadini che abitano in quel campo da ben dodici anni a numeri”. Che, come in aritmetica, possono essere sottratti, sommati, divisi.
Camping River, però, non è solo uno dei 7cosiddetti «villaggi attrezzati» di Roma Capitale. E’ un test per valutare l’efficacia dell’intero Piano comunale. Ed è per questo che il 30 settembre diventa una data cruciale che va posta sotto la lente di ingrandimento di tutti coloro che da anni si battono per la chiusura dei lager per soli rom e per la loro piena cittadinanza.
Vediamo perché:
il 28 giugno la delibera 146 include anche Camping River tra gli insediamenti da cui partire per le dismissioni,
il 4 luglio i 420 ospiti dell’insediamento vengono avvisati della imminente chiusura con una lettera, dove si comunicava contestualmente che i residenti “dovranno lasciare liberi da cose gli spazi affidati”, assicurando che “le persone in condizioni di bisogno potranno accedere alle misure di sostegno previste dal Piano di Roma Capitale per l’inclusione delle popolazioni Rom, Sinti e Caminanti”, presentando la domanda corredata dal modello ISEE e dalla firma del Patto di Responsabilità solidale, previsto sempre nel Piano. La firma del Patto, si legge“prevede quale principale impegno a carico delle famiglie, la fuoriuscita dal villaggio entro la data ultima del 30 settembre 2017“. In più: chi non può dimostrare di poter pagare un affitto potrà solo essere aiutato a comperare un “modulo abitativo”. Ma cosa sianoe dove siano questi moduli nessuno lo sa.
Un mese dopo, a ogni famiglia viene chiesto di firmale il modulo di adesione. In una lettera aperta, i rom chiedono spiegazioni e garanzie. Nessuno risponde. Fino a che comune e rom trovano una formula “magica”: la firma con riserva. Si tratta dell’“adesione al piano ma solo a patto che Roma Capitale onori gli impegni presi in merito a inclusione abitativa e diritto allo studio “. I rom firmano. Poi, di nuovo silenzio.
Ora il 30 settembre è dietro l’angolo. Così come è drammaticamente vicina la data del 2020 entro cui anche Monachina e Barbuta saranno dismesse: trecento persone, tanti i bambini. E già oggi Monachina (110 abitanti) è all’abbandono: su 30 bambini, solo cinque vanno a scuola.
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