Train de vie
Pierluigi Sullo
Vorrei brevemente raccontare una piccola storia familiare. Mentre scrivo, nell’altra stanza Anna, mia moglie e compagna nonché reclusa qui con me, sbuffa e litiga con il computer, accidenti e cheppàlle. La capisco: sta compilando, per conto di non so quante famiglie rom di Roma, l’apposito modulo per ottenere, da comune e municipi, i buoni spesa. Ossia: moltissimi rom, sia perché sono reclusi non in casa ma in “campi” da cui non possono uscire e in cui nessuno può entrare (e il virus che lo impone, in questo caso, non è solo il Covid-19 ma il perbenismo ottuso dell’amministrazione cinquestelle, che non fornisce dati, sulla situazione dei “nomadi”, come dicono loro, perché sono “riservati”, e nel fdrattempo a molti rom è stato revocato il reddito di cittadinanza e non si riesce a capire perché). Compilare, depositare e far arrivare a buon fine queste richieste, che fanno la differenza tra mangiare un po’, adulti e numerosi bambini, e invece fare la fame, è un’impresa per un cittadino medio, figuriamoci per una minoranza esclusa come i rom. Perciò Anna e la sua associazione, Cittadinanza e minoranze, gruppo di persone tenaci talmente cocciuto che anche io mi sono associato, si sono rimboccati le maniche e oltre alla compilazione dei moduli hanno lanciato una sottoscrizione: un po’ di soldi per dare cibo e medicine ai reclusi dei “campi” e dintorni (e un rom è infatti morto di virus pochi giorni fa). Senza molte speranze, perché nei confronti dei rom c’è un durissimo pregiudizio, un muro di indifferenza e riprovazione che in confronto quello di Berlino era uno scherzo: sono talmente ultimi, gli “zingari”, da essere usciti dalla classifica, visto che perfino marocchini e albanesi, per dire, sono con il tempo diventati più simpatici. E invece, sorpresa, in pochi giorni sono arrivati, sul conto dell’associazione, circa 7 mila euro. In crescita. Sarà che a stare chiusi in casa, minacciati dalla malattia, affacciati sulle fatiche e i rischi che corrono i sanitari, ecc., tutti si sentono più vicini a tutti. E insomma date una mano, e un soldo, se potete, e ripensate a quella scena di un film favoloso, “Train de vie”, quando il treno carico di ebrei romeni condotti alla salvezza da loro correligionari travestiti da nazisti, incontrò un gruppo di rom che anch’essi cercavano salvezza: si parlarono, diffidenti, cominciarono a capirsi e verso sera presero a suonare le loro rispettive musiche, che miracolosamente si intrecciarono in un’unica melodia.
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