Viva Milano
Non è la prima volta, nella storia d’Italia, che Milano dà l’esempio, indica una strada nuova. Fin dal primo sciopero generale mai convocato, nel 1904, che fu deciso da una assemblea di lavoratori all’Arena civica, a pochi passi da dove il 20 maggio si è conclusa la manifestazione per l’accoglieza e contro il razzismo, contro i “muri”, con i rifugiati e i migranti. Centomila persone. Non “di sinistra”, o non solo. Non solo italiani, o meglio non solo “vecchi” italiani. Non solo istituzionale, ma anche: la presenza del sindaco Sala e di altri sessanta sindaci lombardi, spesso con le insegne dei loro comuni, ha un valore simbolico altissimo, quelle persone con la fascia tricolore rappresentano le loro comunità, e per una volta le hanno rappresentate non per schiamazzare sulla “sicurezza” ma per dire: ci sentiamo meglio, noi cittadini di…, se le persone di ogni parte del mondo che arrivano qui, quelle che fuggono fin qui aggrappandosi a barconi e gommoni, e che ora vivono con noi, stanno esse stesse meglio, hanno un riparo, possono aiutarci con il loro lavoro, possono farci sapere quanto diversa è l’umanità, quante lingue, quante culture.
Si è molto polemizzato con le leggi di Minniti e Orlando, ministri dell’interno e della giustizia, e giustamente. Sono leggi su base etnica, cioè razziste. Anche nel corteo del 20 maggio si è vista ovunque questa protesta. Ma la manifestazione è stata promossa da un assessore iscritto al Pd, Pierfrancesco Majorino, che ha lavorato e rischiato molto. Ed è stata appunto accompagnata da sindaci quasi sempre di quel partito, a cominciare da quello di Milano. Una contraddizione. Ma è una contraddizione tra loro, tant’è che il segretario del Pd, Renzi, che pure era a Milano, si è ben guardato dal partecipare. Eppure il presidente del senato era lì a dire basta con i muri. Eppure lo stesso presidente del consiglio, Gentioni, del Pd, ha dovuto congratularsi: “Grazie Milano”, ha scritto. L’idea idiota per cui più si inseguono gli xenofobi e razzisti e più si prendono voti è stata stracciata da una partecipazione vastissima, dalla simpatia che questa Milano sa suscitare, dai titoli che i giornali hanno dovuto dedicare a un avvenimento imprevisto: la “gente”, i cittadini, Milano, non sono banalmente e ottusamente ostili ai migranti. All’opposto, ballano con i danzatori messicani e sfilano con i cinesi e sanno cambiare l’umore dell’intero paese.
La modernità di Milano non sta soprattutto nelle sfilate di moda o negli Expo miliardari. Sta nel riconoscere, anzi apprezzare, che sudamericani, cinesi, nordafricani, romeni e moltissimi eccetera possano viverci, in pace. Il futuro è qui. E non è per caso che Milano sia la sola città europea, dopo Barcellona (dove marciarono mezzo milione di persone, in febbraio), a organizzare una marcia a favore di migranti e rifugiati. Un primato di cui per una volta possiamo essere orgogliosi, non abbiamo solo i politici più stupidi e razzisti d’Europa, al contrario abbiamo un modello di convivenza, certo difficile e complicato ma irreversibile e positivo, da esportare e mettere in comune.